1. Dobbiamo “resistere alla tentazione di trattare l’epidemia attuale come se rivestisse un significato più profondo: la punizione crudele ma giusta dell’umanità per lo sfruttamento implacabile delle altre forme di vita sulla Terra o cose del genere… Se cerchiamo un messaggio nascosto, restiamo premoderni: trattiamo il nostro universo come un interlocutore nella comunicazione. Anche se la nostra stessa sopravvivenza è a repentaglio, c’è qualcosa di rassicurante nel fatto che veniamo puniti – l’universo (o persino Qualcuno lassù) ci guarda…” (Žižek, Virus).
L’uomo conserva, sotto un più o meno spesso strato di sovrastrutture, la tendenza ancestrale al Padre primordiale dell’orda, in politica come in religione, ambiti non per caso strettamente correlati agli albori delle civiltà umane. Che la natura ci punisca per il nostro cattivo comportamento è un grande sollievo perché la punizione presuppone un Padre e dunque una Legge, entrambe figure importanti per la formazione della soggettività e tuttavia oggi mancanti, al tramonto.
Il ritorno al premoderno di cui parla Žižek emerge chiaramente nella forma della New Age, un calderone dove confluiscono pseudo-filosofie, pezzi di spiritualità e pratiche orientali decontestualizzati e riadattati ai canoni occidentali; in generale, forme ingenue e superficiali di “ritorno” a “madre natura”.
“La cosa davvero difficile da accettare è il fatto che l’epidemia in corso sia il risultato di una contingenza naturale allo stato puro, che sia semplicemente avvenuta e non celi nessun significato riposto.” (Žižek, Virus).
2. “In termini più generali, la cosa da accettare, con cui riconciliarci, è che c’è un sostrato di vita, la vita non-morta, stupidamente ripetitiva, pre-sessuale dei virus, che da sempre sono qui e che staranno per sempre con noi come un’ombra oscura, insidiando la nostra sopravvivenza… le epidemie virali ci rammentano la contingenza ultima e l’insensatezza della vita: per quanto spettacolari possano essere gli edifici spirituali che noi fondiamo, una stupida contingenza naturale come un virus può decretarne la fine.” (Žižek, Virus).
Questo “sostrato di vita”, insensato e meccanico, è lo sfondo (il molteplice puro, direbbe Badiou) da cui viene tratto l’esistere, ex-sistere, “porre fuori”. Ogni esistenza è carpita da questa radice di “vita non-morta”; è una “sovra-esistenza” posta “ai confini dell’in-esistente (il nulla libero della coscienza, l’informe caotico della vita come tale)” (Badiou, Logiche dei Mondi). Ciò che Žižek chiama non-morto, Badiou lo chiama in-esistente: a metà tra la vita (individuale) e la morte, tra l’esistenza e il nulla.
Dunque, esistere significa “essere nel movimento costituente della sovra-esistenza originaria”; ma l’essere preso in questo movimento “vuole anche dire essere nientificato. Infatti, l’atto costituente non avvera la sua sovra-esistenza che nella deposizione (la precarietà, la mortalità) di ciò che esso costituisce… La morte di una vita singolare è la prova necessaria dell’infinita potenza della vita.” (Badiou, Logiche dei Mondi). È in questo senso che Žižek definisce il “non-morto” come il caos della vita come tale: solo nella morte si riafferma l’infinito potere della vita.
La pandemia ci costringe ad un lavoro che è quello della ricollocazione di noi stessi come individui e come specie, non rispetto a un’Entità New Age o premoderna (Dio, Madre Natura, lo Spirito, …) ma nei confronti di una forza che si afferma infinitamente, annullando. Non è un lavoro da poco, per accorgercene basta ascoltare un telegiornale.