Nato sulle montagne, il padre ne ha forgiato la tempra in luoghi ruvidi e aspri, come la disciplina che gli ha impartito.
Corse in salita, massi usati come pesi, piccoli orsi come sparring partner. Per Khabib lottare è una facoltà umana naturale ed irrinunciabile come mangiare e respirare.
Si è portati a pensare, visto il suo score nelle MMA e nel sambo, che Khabib non conosce sconfitta. La maturità con cui invece ne parla (“so che prima o poi accadrà” ripete spesso nelle interviste) e la saggezza con cui la evita ad ogni incontro sono invece indizi del fatto che la conosce molto bene: ne ha gustato il sapore amaro centinaia di volte in allenamento.
Nella sua storia di fighter, ha sempre avuto il padre all’angolo, tranne negli ultimi due incontri: il primo per un problema burocratico, il secondo perché il coronavirus se l’è portato via.
Ora si ritira da imbattuto, dopo aver dimostrato che nessuno si avvicina, neanche un po’, al suo livello. “Questo era il sogno di mio padre” ha detto al termine del suo ultimo incontro. È giusto che ora, con una vita davanti, viva il suo.
A noi comuni mortali, Khabib lascia il suo esempio, che non è lezione da poco. Ci ha mostrato che per essere grandi bisogna restare umili, disposti sempre al sacrificio e alla rinuncia. Fedeli a un ideale, contro la tentazione del narcisismo, rispettosi degli gli altri ma senza abbassare la testa verso gli ingiusti.