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In quarantena

Mese: Marzo 2021

Virus, Esistenza e Morte tra Žižek e Badiou

Posted on 2021/03/14 - 2021/03/14 by margarita99

1. Dobbiamo “resistere alla tentazione di trattare l’epidemia attuale come se rivestisse un significato più profondo: la punizione crudele ma giusta dell’umanità per lo sfruttamento implacabile delle altre forme di vita sulla Terra o cose del genere… Se cerchiamo un messaggio nascosto, restiamo premoderni: trattiamo il nostro universo come un interlocutore nella comunicazione. Anche se la nostra stessa sopravvivenza è a repentaglio, c’è qualcosa di rassicurante nel fatto che veniamo puniti – l’universo (o persino Qualcuno lassù) ci guarda…” (Žižek, Virus).
L’uomo conserva, sotto un più o meno spesso strato di sovrastrutture, la tendenza ancestrale al Padre primordiale dell’orda, in politica come in religione, ambiti non per caso strettamente correlati agli albori delle civiltà umane. Che la natura ci punisca per il nostro cattivo comportamento è un grande sollievo perché la punizione presuppone un Padre e dunque una Legge, entrambe figure importanti per la formazione della soggettività e tuttavia oggi mancanti, al tramonto.
Il ritorno al premoderno di cui parla Žižek emerge chiaramente nella forma della New Age, un calderone dove confluiscono pseudo-filosofie, pezzi di spiritualità e pratiche orientali decontestualizzati e riadattati ai canoni occidentali; in generale, forme ingenue e superficiali di “ritorno” a “madre natura”.
“La cosa davvero difficile da accettare è il fatto che l’epidemia in corso sia il risultato di una contingenza naturale allo stato puro, che sia semplicemente avvenuta e non celi nessun significato riposto.” (Žižek, Virus).
2. “In termini più generali, la cosa da accettare, con cui riconciliarci, è che c’è un sostrato di vita, la vita non-morta, stupidamente ripetitiva, pre-sessuale dei virus, che da sempre sono qui e che staranno per sempre con noi come un’ombra oscura, insidiando la nostra sopravvivenza… le epidemie virali ci rammentano la contingenza ultima e l’insensatezza della vita: per quanto spettacolari possano essere gli edifici spirituali che noi fondiamo, una stupida contingenza naturale come un virus può decretarne la fine.” (Žižek, Virus).
Questo “sostrato di vita”, insensato e meccanico, è lo sfondo (il molteplice puro, direbbe Badiou) da cui viene tratto l’esistere, ex-sistere, “porre fuori”. Ogni esistenza è carpita da questa radice di “vita non-morta”; è una “sovra-esistenza” posta “ai confini dell’in-esistente (il nulla libero della coscienza, l’informe caotico della vita come tale)” (Badiou, Logiche dei Mondi). Ciò che Žižek chiama non-morto, Badiou lo chiama in-esistente: a metà tra la vita (individuale) e la morte, tra l’esistenza e il nulla.
Dunque, esistere significa “essere nel movimento costituente della sovra-esistenza originaria”; ma l’essere preso in questo movimento “vuole anche dire essere nientificato. Infatti, l’atto costituente non avvera la sua sovra-esistenza che nella deposizione (la precarietà, la mortalità) di ciò che esso costituisce… La morte di una vita singolare è la prova necessaria dell’infinita potenza della vita.” (Badiou, Logiche dei Mondi). È in questo senso che Žižek definisce il “non-morto” come il caos della vita come tale: solo nella morte si riafferma l’infinito potere della vita.
La pandemia ci costringe ad un lavoro che è quello della ricollocazione di noi stessi come individui e come specie, non rispetto a un’Entità New Age o premoderna (Dio, Madre Natura, lo Spirito, …) ma nei confronti di una forza che si afferma infinitamente, annullando. Non è un lavoro da poco, per accorgercene basta ascoltare un telegiornale.
Posted in PensieroTagged Badiou, pandemia, virus, Žižek

Esercizi di stile V – haiku

Posted on 2021/03/14 by margarita99

Apre la birra

Dolore alla mano

Ma non è grave

Posted in RaccontiTagged esercizi di stile

Esercizi di stile IV – Lovecraft

Posted on 2021/03/14 by margarita99

Quel giorno una strana inquietudine mi permeava fin dentro le ossa; forse per la notte agitata dagli incubi che avevo passato – incubi di cui mi restavano solo sensazioni diffuse di malessere e follia, come se al risveglio fossi tornato da un mondo alieno, talmente incomprensibile e distante da ciò che chiamiamo ‘umano’ da non riuscire nemmeno a trattenerne un brandello in memoria. ‘Passerà’, mi ripetevo durante la giornata, in ufficio; cercavo di concentrarmi sulle piccole cose, sperando che la routine mi liberasse da quel senso di alienamento che invece, nonostante i miei sforzi, ritrovavo sempre al suo posto, immutato.

In pausa pranzo mi sorpresi a fissare la perfezione euclidea delle forme geometriche dei tavoli; cercavo ossessivamente gli angoli retti degli spigoli, aggrappandomi alla familiarità di quelle linee, così umane da darmi un po’ di sollievo. Uno stato d’animo che durò poco, il tempo di rendermi conto di aver trovato pace in una cosa neutra e scontata come la geometria del mondo… cosa mi era successo quella notte? Forse, nel tempo dilatato del sogno, avevo vissuto giorni, mesi o anni in una dimensione inaudita, dove il cervello umano non è in grado di decodificare coerentemente gli stimoli sensoriali dell’occhio…

Atterrito, mi diressi al bar per un caffè – ennesimo tentativo di aggrapparmi alla routine per uscire dalla morsa della follia – facendomi largo nella cappa pesante di nebbia che opprimeva quella maledetta giornata. Nella penombra verdognola che oscurava il sole e sfumava i bordi delle cose, mi accorsi che il mio malessere era amplificato dalla difficoltà di equilibrio e di percezione visiva – la nausea di chi ha perso l’orientamento e non riesce a trovare punti fermi. Sicuramente fu una mia impressione ma in quel momento sentii la terra sotto i miei piedi beccheggiare e rollare, mentre palazzi e lampioni ondulavano senza contorni, come attraversati da una lente… sono io ad aver fatto un incubo o sono forse io ad esser stato fatto da questo incubo?

Ormai la fune che mi teneva attaccato alla realtà si stava irrimediabilmente sfilacciando; presto sarei scivolato nella follia, dovevo almeno provare a fare uno sforzo per tornare a galla. Così, dominato dalla nausea e dall’orrore, funereo in volto, entrai nel bar e ordinai un caffè. Al bancone, sulla mia destra, c’erano due uomini. Non riuscii a vederli in volto, ma li sentii bisbigliare qualcosa in una lingua incomprensibile fatta di suoni mai ascoltati prima, una lingua malata e insopportabile… stavano pronunciando una litanìa… “Ph’nglui mglw’nafh Cthulhu R’lyeh wgah’nagl fhtagn”… Non ne capivo il significato, ma quelle parole spalancarono definitivamente l’abisso dove si perse per sempre il mio senno. Le parole non possono descrivere le orride immagini che si susseguirono in poco tempo nella mia mente: posso solo dire che vidi un male ben oltre le rappresentazioni religiose del castigo Divino; vidi una dimensione aliena ben peggiore dell’Inferno, abitata da esseri antichi come l’universo.

Volevo scappare il più lontano possibile da lì, ma ero paralizzato, non so se dalla mostruosa cantilena o per la consapevolezza di aver perso definitivamente i contatti con la realtà. Guardai il caffè che stavo mischiando meccanicamente: quando avevo cominciato a farlo? Da quanto tempo lo stavo facendo? Dov’erano finiti i due uomini che mi stavano accanto? Lanciai un urlo e rovesciai il caffè bollente sulla mano destra della barista di fronte a me. Per tutta risposta, mi fissò con uno sguardo vacuo. Sembrava un cadavere, se non fosse che la vedevo in piedi davanti a me. Mi scusai con un filo di voce; mi rispose che comunque preferiva usare l’altra. Alzò il braccio sinistro: al posto della mano aveva dei tentacoli rugosi e umidicci che si torcevano come serpenti. Mi voltai e, incespicando sul mio stesso vomito, mi lanciai verso l’uscita, mentre la risata malsana della barista mi rimbombava nella testa.

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Esercizi di stile III – gli appunti

Posted on 2021/03/14 by margarita99

Entrato al bar; ordinato caffè + acqua minerale; messo dolcificante e mischiato.

N° 2 persone a fianco parlanti idioma non identificato; se ne vanno.

Bevo caffè + acqua – pago – motto di spirito – esco.

Posted in RaccontiTagged esercizi di stile

Esercizi di stile II – il vaticinio

Posted on 2021/03/14 by margarita99

Un giorno entrerai in un bar e ordinerai un caffè con un bicchiere d’acqua. Di fianco a te ci saranno due operai che parleranno fra loro un dialetto per te incomprensibile. Mentre mischierai il dolcificante, cercherai invano di capirne la provenienza geografica, fino a che la barista non si farà male alla mano destra aprendo un fusto di birra nuovo. A quel punto berrai il tuo caffè e la tua acqua, pagherai e te ne andrai con un motto di spirito.

Posted in RaccontiTagged esercizi di stile

Esercizi di stile I – il fatto

Posted on 2021/03/13 by margarita99

Dopo la pausa pranzo, sono entrato in un bar poco lontano e ho ordinato un caffè con un bicchiere di acqua naturale. Mentre mischiavo il dolcificante nel caffè, ascoltavo la conversazione fra due operai in pausa alla mia destra. Parlavano in un dialetto molto stretto, per me incomprensibile. Se ne sono andati dopo pochi minuti, prima che riuscissi a capirne la provenienza. Continuavo a riflettere e a mischiare, mischiare e riflettere, fino a che la barista, di fronte a me, si è fatta male a una mano aprendo un fusto di birra. A quel punto, scosso dal torpore in cui ero caduto, ho trangugiato caffè e acqua e ho chiesto alla ragazza se si fosse tagliata; mi ha risposto di no, ma le succede spesso di mettersi fuori uso la mano in quel modo. Allora ho pagato e sono uscito di scena dicendole che tutto sommato poteva andare peggio, ha ancora la sinistra per lavorare.

Posted in RaccontiTagged esercizi di stile

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